Abbiamo incontrato la spumeggiante attrice romana. Formatasi in teatro e resa celebre grazie alla saga di Fantozzi, ci ha portato nel suo mondo. Dove non esistono diversi. Perché «sono gli altri a essere troppo uguali»
«È giusto che al di là dell’etichetta ci sia un mondo di creature che abbiamo il diritto di amare quello che vogliono. Io sono con loro, voglio essere la regina della libertà della loro vita. La libertà di essere come ti pare. Non sono io che sono brutta, sono gli altri che sono troppo belli». Così Anna Mazzamauro, sbarca a Milano per ritirare il premio Queen of Comedy 2014.
Onorata dal riconoscimento?
Non amo ricevere premi perché le organizzazioni pretendono sempre che tu faccia qualcosa per sdebitarti, un monologo, un film, una canzone… Qui al MIX è diverso, sono persone autentiche che hanno eletto me come attrice di libero pensiero e di libero animo. Sono sempre stata un’artista libera – non libertina – che ha raccontato e che racconta idee rare.
Un premio di libertà …
Questo premio ha come tema, per forza e necessariamente, la libertà di essere come sei, come vuoi, di manifestare l’amore come ti pare. Non bisogna mai correre il rischio di etichettare il senso che si vuol dare alla propria libertà. Sono un’attrice e ho il diritto sacrosanto di recitare. Molto spesso quelli che non manifestano il proprio amore, l’amore con la A maiuscola, nel teatro o nella vita, fraintendono. Mi piacerebbe essere tutto quello che gli altri considerano di "inverso" (gay, nera…) e urlarlo.
Mi racconti della sua ultima pièce, Nuda e cruda, che invita a essere fieri della propria diversità …
Lo spettacolo pone alla base la felicità di non essere come gli altri, un invito a non ghettizzarsi. C’è un momento dove parlo della diversità, un dialogo fra una madre e un figlio: lui le rivela la propria omosessualità e lei dice: «Mio Dio, un figlio diverso!» e il figlio ribatte: «Mamma, non sono io quello diverso, sono gli altri che sono troppo uguali». Questo è il mio pensiero. È giusto che al di là dell’etichetta, ci sia un mondo di creature che abbiano il diritto di amare quello che vogliono.
Che rapporto ha con il suo fisico? Un tempo si definì «la Sharon Stone dei quartieri bassi», aggiungendo che lei, a differenza della Stone, «porta le mutande».
La bruttezza ha un vantaggio sulla bellezza: la bruttezza dura (ride). Io mi ritengo bellissima, se mi dici che sono brutta ti do un cazzotto che te lo ricordi per tutta la vita, perché altrimenti non ha senso quello che ho detto prima.
Che cos’è l’ironia per Anna Mazzamauro?
Io credo che sia nel Dna. Per arrivare all’ironia bisogna frequentare prima l’autoironia perché io non posso denigrare gli altri se non l’ho fatto prima su me stessa, altrimenti diventerei un’arrogante che ha la presunzione di guardarli; io li posso guardare ma non li devo criticare. L’autoironia è nata per me quando mi sono guardata allo specchio la prima volta. Dopo di che ho posato lo specchio e mi sono rivolta agli altri, e da qui è nato il mio modo di fare teatro che è comico, ironico, sentimentale, drammatico, tragico: è libertà di essere come mi pare! Questo è il senso della mia vita, non smetterò mai di amare questa libertà che, al giorno d’oggi, purtroppo, è una parola abusata in troppi ambienti, come la politica.
Una sua impressione sulla situazione del teatro in Italia?
Adesso il teatro è cambiato. Non esiste più il grande teatro dove i grandi attori recitavano le grandi tragedie e le grandi commedie per il grande pubblico. Adesso c’è un’inflazione di comici che io chiamo “comicastri” che nascono da certe trasmissioni orrende. Dico certe perché alcune sono bellissime, non generalizzo assolutamente, non sono così cretina. "Comicastri" che lasciano il tempo che trovano, ma lo rubano a quelli veri che recitano da una vita. Gente improvvisata, gente che magari ha un chiosco di gelati e poi si mette a fare il comico e il pubblico abbocca perché la volgarità è vincente. I comici veri erano quelli del Seicento che andavo nei castelli con i carrozzoni, mentre i grandi comici contemporanei sono finiti con Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi… Purtroppo i giovani attori di oggi ignorano il passato, forse sanno chi è Giorgio Albertazzi perché è ancora vivo, fortunatamente per lui, e ogni tanto appare in televisione. Io non voglio fare quella che rimpiange il tempo che fu, perché sarei una vecchia rincoglionita e non lo sono (ride). Forse è giusto che le nuove generazioni siano così. La spontaneità e la verità della grande arte sono state sostituite da altro.
E la situazione attuale del cinema italiano?
Io frequento più il teatro del cinema. Il cinema secondo me, quello che la gente amava e che tutt’ora ama, ha seguito la stessa sorte del teatro. Anche qui i grandi non ci sono più. Può sembrare curioso però, per me, Christian De Sica potrebbe essere un grande del cinema contemporaneo se non frequentasse i cinepanettoni. Intuisco in lui grandi potenzialità. Ma l'eredità paterna può anche rappresentare un fardello e in lui talvolta si intravede la melanconia di non poterla esibire.
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