RIVOLUZIONI IN VIDEOCLIP

RIVOLUZIONI IN VIDEOCLIP
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I meccanismi di interazione fra audio e immagine, fin dagli albori del videoclip, hanno basato la loro corrispondenza di sensi sul patto reciproco col diavolo businness. L'immagine, al servizio di un corpo musicale da glorificare, si nutre di linee architettoniche estetizzanti e luci dalla missione caravaggesca mentre la musica reclama, tiranna dal volto umano, la sua scala al paradiso della hit-parade a colpi di video-monstre, appoggiandosi a sguardi del calibro di Martin Scorsese, David Fincher e John Landis.

 

L'imperativo formale insomma, ancora debitore del culto corporeo degli anni '80, si traduce nei colossi divistici da milioni di dischi, in mini-film confezionati come pillole di cinema, in un montaggio bulimico che quasi travalica, per appetito, l'Otello di Orson Welles.

 

«Videoclip», a metà degli anni '90, diventa quasi sfumatura razzista nelle stroncature dei film, sinonimo di spazzatura senza pensiero, di consumismo esasperato dell'immagine fino a quando, una quindicina di anni fa, il video, atrofizzato da una ricerca di sex appeal oramai prossima all'inorganico, muta radicalmente con il crollo dell'industria discografica fino a diventare uno dei pochissimi terreni di vera sperimentazione. Perso il suo peccato originale, oltre che i budget stratosferici, il videoclip conosce un'autenticità identitaria senza precedenti: la sostanza del divo non è più urgenza, la personalità del regista (e le sue ossessioni) infrange la legge del mercato, le immagini ammutinate non rispettano più i codici e le leggi video-radiofoniche.

 

Nascono così autori rivoluzionari come Chris Cunningham, Garreth Jennings, Spike Jonze, Jonathan Glazer che marchiano a fuoco un'evoluzione primordiale, fatta di assoluta libertà di ricerca, per poi segnare, anche se con meno impatto innovatore per il momento, il contemporaneo cinematografico. Musica e videomaking però cercano uno spazio di affermazione, di orgogliosa indipendenza anche se, insieme alle analoghe mutazioni video degli ultimi anni, necessitano di un orizzonte globale più ampio che riconosca loro un cammino di narrazione visuale tutto da tracciare, libero dalle incrostazioni pregiudiziali che ancora lo soffocano.

 

* Giornalista e critico cinematografico, collabora con il manifesto, INTERNI e cura la selezione del MIX, Festival di film a tematica LGBT

 

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