Riflessione sul potere manipolatorio del cinema o straordinaria premonizione? L'occhio selvaggio di Paolo Cavara, a oltre quarant'anni dall'uscita, rivela la sua straordinaria attualità. Ne abbiamo parlato con il critico Alberto Pezzotta
Un regista percorre l'Africa e il Sud-est asiatico con una piccola troupe. Cerca scene spettacolari, quando non le trova le suscita, qualche volta addirittura le crea.
Non stupisce che, dopo Harun Farocki e In Comparison, L'occhio selvaggio - primo lungometraggio di finzione di Paolo Cavara, del 1967. fresco di restauro da parte della Cineteca Nazionale, con la riflessione sull'etica delle immagini che inevitabilmente suscita - sia oggetto di un omaggio da parte di Filmmaker.
La proiezione del film sarà introdotto da Alberto Pezzotta, curatore del volume Bompiani che alla sceneggiatura (Cavara la scrisse con Tonino Guerra e Alberto Moravia) affianca il trattamento, per cui collaborò con Ugo Pirro e Fabio Carpi. Abbiamo incontrato il critico milanese per farci raccontare la storia di un film che affonda le proprie radici in un altro, Mondo cane, di appena cinque anni precedente che Cavara aveva realizzato con Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi. Una rielaborazione critica di quell'esperienza, ma soprattutto una riflessione sulla riduzione degli uomini a oggetti di consumo da parte dei produttori/divoratori di immagini e sul potere manipolatorio del cinema. Temi decisamente contemporanei.
Sono molte le ragioni per cui la riscoperta del cinema di Paolo Cavara si dimostra attuale e interessante.
Credo che, per una sua riscoperta, si debba partire proprio da L’occhio selvaggio, film che segnò l’incontro tra Cavara e quattro figure che hanno contribuito a fare la storia del cinema italiano. E che nasceva dalla necessità del regista di riflettere, in un film di finzione, sulla sua esperienza autobiografica di co-autore di Mondo cane, un documentario che ebbe un successo enorme e che suscitò grandi discussioni a inizio anni Sessanta. Se Mondo cane era un esempio di cinéma vérité amorale, L’occhio selvaggio denunciava lo spirito che era alla base di quel film. Interessante è che Cavara abbia cercato la collaborazione di scrittori importanti come Guerra e Moravia per scavare in profondità temi che in realtà non erano ancora ben chiari alla cultura italiana dell’epoca.
Contraddire, a pochi anni di distanza, spirito e motivazioni della propria opera non è un percorso scontato.
Ci sono precedenti importanti però. Sul tema della rappresentazione della violenza nel cinema rifletteva già Luigi Pirandello (Si gira… del 1915, rivisto e riedito con il titolo di Quaderni di Serafino Gubbio operatore nel 1925, ndr). Non so quanto Pirandello fosse presente a Cavara mentre scriveva il film, ma certo Moravia non poteva ignorarlo.
Come mai ci sono voluti più di 40 anni per riscoprire L'occhio selvaggio?
Non è un film con attori di cassetta, Philippe Leroy all’epoca non era ancora così famoso, Delia Boccardo era un’esordiente… Il motivo per cui è rimasto nell’ombra per tutto questo tempo è molto semplice: i detentori dei diritti della pellicola non hanno mai avuto particolare interesse a riproporlo, sfruttarlo e venderlo.
Se molti film italiani oggi vengono riscoperti è perché tornano a circolare in televisione o vengono editati in dvd… L’occhio selvaggio non ha avuto un riproposizione televisiva, tanto meno una versione per l’home video. Non era nei pacchetti delle grandi case di distribuzione, quindi è rimasto ignorato per anni, come molti altri film nazionali.
Per esempio?
La parmigiana (di Antonio Pietrangeli, ndr) è un altro film che non esiste in dvd. O anche Le fate (film collettivo firmato da Pietrangeli, Luciano Salce, Mauro Bolognini e Mario Monicelli, ndr).
Perché non esistono in dvd?
Perché gli aventi diritto non sono stati abili e sono rimasti relegati in un angolo. Solo recentemente si stanno riscoprendo film minori che all’epoca non vide quasi nessuno e ritenuti di interesse secondario. Oggi sono diventati di culto.
Secondo te L’occhio selvaggio è un film trash o un film d’autore?
Il termine “trash” non mi piace, è un’etichetta legata a un'altra fase della nostra storia. Preferisco “cinema di genere" o “cinema di profondità" alle categorie della critica anni Novanta. E all’epoca L’occhio selvaggio non venne certo percepito come film d’autore, Cavara non lo era. Il suo cinema era medio: a metà strada fra quello dei grandi, come Michelangelo Antonioni e Federico Fellini, e il cinema di profondità.
Secondo te chi si occupa di cinema di genere viene un po’ snobbato dalla critica oggi?
No, non lo penso assolutamente. Riviste come Nocturno che hanno il cinema di genere al centro della propria riflessione esistono dal vent'anni, e persone come Marco Giusti dedicano parecchie energie al recupero e alla ricerca di questo tipo di cinema. Ma anche molti registi: Martin Scorsese, Joe Dante, John Carpenter, Tim Burton hanno attinto ai film di Mario Bava e di altri italiani, molto prima di Quentin Tarantino che ci è arrivato in seconda/terza battuta. Dopo tutte le operazioni fatte dai registi appena citati, francamente non mi sembra che il cinema di genere sia ostracizzato. All’epoca i film di serie b non venivano considerati dai critici perché quelli erano gli anni di Antonioni, Fellini, Pier Paolo Pasolini, Ingmar Bergam, Jean-Luc Godard, François Truffaut… E chi aveva tempo di andare a vedere l’ultimo film di Mario Bava o di Riccardo Freda? Ma è ingiusto affermare che il cinema di genere fosse sistematicamente sottovalutato. Ci sono grosse distorsioni di prospettiva su questo argomento.
E in ambito accademico?
L’ultimo numero di Bianco e Nero, (la rivista di critica del Centro Sperimentale di Cinematografia, ndr) è sul cinema gotico italiano. In ambito accademico tutti i pregiudizi sul cinema di genere sono superati, anzi ormai da un decennio anche gli studiosi americani dedicano loro spazio. Non bisogna più combattere per rievocare il passato, semmai il rischio è opposto, cioè trarre la conclusione: «Basta con Francesco Rosi, Damiano Damiani ed Elio Petri. Solo commediacce e spaghetti-western!». Non è necessario sostituire un vecchio canone con un nuovo anticanone. Possono convivere tranquillamente. Se poi certi critici sono ancora bloccati a questi pregiudizi, peggio per loro.
L'occhio selvaggio di Paolo Cavara, Omaggio Paolo Cavara, sab 6 dicembre, ore 14.30, Spazio Oberdan