Qualcosa di noi è il suo nuovo documentario che uscirà nelle sale il prossimo mese. Intervista a Wilma Labate, che ha fatto della forza delle donne il soggetto dei suoi film
Wilma Labate è una regista storica del cinema italiano. Ha iniziato la sua carriera sul grande schermo alla fine degli anni ottanta e da lì non si è mai fermata, realizzando film di finzione e documentari con lo scopo comune di indagare l'essere umano in situazioni di grande tensione.
Ha filmato il G8 di Genova, la Palestina e nel 2012 ha realizzato un documentario su un suo grande amico e regista, Mario Monicelli. Il suo nuovo film è un'opera di coraggio con protagonista Jana, una prostituta che conduce una classe di scrittura della scuola Bottega Finzioni di Bologna più a fondo nell'esplorazione dell'abisso umano. La sua interpretazione le ha valso un Nastro Argento come rivelazione dell'anno. Abbiamo chiesto alla regista di parlarci del suo lavoro, delle sue scelte e del suo grande amico, Mario Monicelli.
I tuoi film hanno come protagoniste o coprotagoniste delle donne sempre consapevoli del loro essere. Che differenza c'è tra presentare una donna forte rispetto a una vittima?
E' più coraggioso raccontare la storia di una donna consapevole rispetto a una donna vittima o schiava. Nel mio ultimo documentario, credo che scegliere una persona matura, adulta che consapevolmente decide di fare la prostituta rispetto a una donna che è costretta, magari in età giovanissima, sia completamente diverso: da una parte avrei raccontato il dolore di una vita non scelta e dall'altra con più difficoltà ho raccontato una condizione maturata.
Da dove è arrivata l'idea del progetto?
I ragazzi del corso hanno scelto un mestiere molto difficile in cui pochi riusciranno purtroppo. Ho pensato che messi di fronte a una realtà provocatoria e sapiente potevano diventare più autentici e più veri nel raccontare anche se stessi. Così è successo.
Quanto una donna forte, come Jana, può creare confusione?
Posso dire che Jana ha destabilizzato i ragazzi perché è innanzitutto una persona intelligente, perché si è molto appassionata all'esperienza e si è divertita. Si è calata con molta onestà nell'ambiente rendendosi disponibile a possibili giudizi e sentimenti di avversione nei suoi confronti e nei confronti del suo mestiere stabilendo un rapporto diretto con tutti. Questo ha facilitato i ragazzi a rilassarsi e a mettere a nudo degli aspetti di se stessi.
Il film viene distribuito nelle sale. Che cosa vi aspettate dal pubblico?
Il pubblico è sempre il grande mistero: non si può prevedere e conoscere quello che succederà in sala. Per ora il pubblico che ha visto Qualcosa di noi non si è dimostrato giudicante o aggressivo nei confronti di Jana. Quando il film è stato proiettato a Milano, io ero a Bari a presentarlo di fronte a un pubblico diverso. Lì avevo un po' di timore e invece la sala era affollata! Non finivano più di farmi domande; hanno dovuto obbligarci a uscire perché dovevano far cominciare la proiezione successiva. Questo vuol dire che la storia incuriosisce e fa riflettere.
Lavori nel cinema dalla fine degli anni 80. Quanto è cambiata da quei tempi l'industria cinematografica nei confronti delle donne?
E' cambiata, ma non abbastanza: per noi donne è sempre molto più difficile. Realizzare il mio primo film è stato una fatica immensa. Dall'estero arrivano film fatti da donne che dimostrano un cambiamento: siamo riuscite a conquistare più rispetto. Però pensare che il primo Premio Oscar alla migliore regia è stato assegnato a una donna, ossia Kathryn Bigelow (The Hurt Locker), solo cinque anni fa, fa impressione su quanta strada c'è ancora da fare. Ritornando all'Italia, rispetto agli anni 90 ci sono molte più registe e giovani che riescono a fare i propri film.
Il tuo film, Ambrogio (1992), parla di una ragazza che vuole diventare Capitano della Marina, ma incontra molti ostacoli. Immagino le difficoltà nel reperimento dei finanziamenti.
Per quel film ho dovuto lottare. Lo dovevo fare cinque anni prima, ma è stato impossibile, nonostante non fosse una produzione costosa. Spero che le registe di oggi riescano nel loro lavoro con più facilità.
Nella tua carriera hai lavorato anche con Mario Monicelli, i cui personaggi femminili sono di estrema sensibilità e bellezza. Che rapporto avevi con lui?
Il mio rapporto con Mario Monicelli è stato profondo e divertente. Lui era sferzante e ironico, sempre. A differenza di chi si prende terribilmente sul serio, Mario scherzava su tutto e su tutti, compreso se stesso. Questo mi ha di certo insegnato a prendere le distanze dal mestiere e dalla considerazione che ognuno ha di sè. E' stata una grande lezione di vita, davvero. Malgrado lui fosse molto anziano quando l'ho incontrato, il suo rapporto con le donne era di assoluto rispetto. La grande ironia e cattiveria che ha praticato per tutta la vita lo rendeva molto diverso dagli altri: attraverso un risata cattiva lui sfumava se non provocava e distruggeva i luoghi comuni, i pregiudizi, il pensare tradizionale.
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