L'ETERNO DIALOGO <br>TRA POESIA E ARCHIVI

L'ETERNO DIALOGO
TRA POESIA E ARCHIVI

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La regista milanese racconta con Confini la vita nelle trincee durante la Prima guerra mondiale. E qui spiega quanta ricchezza si trovi nel lavoro sui repertori

 

Alina Marazzi firma uno dei nove film che compongono 9X10 Novanta. In occasione dei novant’anni del Luce nove autori italiani hanno realizzato ognuno un cortometraggio di montaggio, servendosi delle immagini recuperate dall’immenso archivio dell’Istituto. Il risultato è un omaggio al Luce e un regalo all’Italia: il passato che prende vita nei frammenti articolati in un percorso composito di testimonianza, storia, ideologia, ma anche poesia.
Specializzata nella ricerca di immagini di repertorio, Alina Marazzi è l’autrice di Confini, l’intenso racconto di una truppa di soldati italiani al fronte durante la Prima Guerra Mondiale. La regista ha per la prima volta attinto materiale dall’Archivio del Luce. In dieci minuti Confini sintetizza la fatica, il male e la miseria della guerra. Sulla pellicola si adagiano le liriche di Mariangela Gualtieri: il linguaggio della poesia e il supplizio della trincea. Confini è dedicato al critico letterario Renato Serra, morto durante la Prima Guerra Mondiale, autore di Esame di coscienza di un letterato, voce critica di testimonianza contro la guerra.
Superiamo i confini della storia con Alina Marazzi, alla ricerca del valore del passato.

 

Da dove sei partita nella ricerca del tema e dei materiali per il tuo frammento?
Il punto di partenza è stato la parola “confini”, mi interessava esplorare il limite. Sono subito andata a cercare le immagini della Prima Guerra Mondiale perché il nostro immaginario è caratterizzato dall’idea della trincea e del reticolato, concentrandomi sul confine nord-orientale negli anni dal ’14 al ‘16. I filmati della seconda guerra mondiale erano meno emozionanti per me e meno interessanti dal punto di vista cinematografico. Desideravo lavorare con un testo poetico, sebbene non sia semplice accostare la poesia alle immagini. Dopo aver cercato autori di quegli anni, ho proposto alla poetessa Mariangela Gualtieri di usare i suoi scritti. È una poesia molto intima, di una dimensione spirituale legata al quotidiano, non ha a che vedere con la guerra. Con la voce della poetessa dialogano il violino e il violoncello dei brani musicali di Mauro Montalbetti, con cui ho recentemente lavorato nell’allestimento dello spettacolo Il sogno di una cosa.

 

Nove autori per un solo film. Come si collegano tante visioni diverse?
9X10 Novanta non va inteso come film collettivo, ognuno ha lavorato in modo autonomo seguendo un percorso indipendente. Non c’è stata quindi l’idea di una tematica condivisa. Ogni regista si è mosso nell’archivio in maniera libera e creativa: ha scelto una parola, un singolo aspetto che lo interessava fra quelli proposti dall’Istituto. Il film è stato presentato alla Mostra di Venezia come lungometraggio, non è stato semplice decidere l’ordine degli episodi, trovare un’idea di successione. Il quadro che ne esce è piuttosto eterogeneo.

 

Essere registi anche senza girare è un approccio con cui hai familiarità.
Significa appropriarsi di immagini con umiltà e rispetto del lavoro altrui, immagini nate con un intento e che attraverso uno sguardo diverso assumono un nuovo significato. Un lavoro che implica responsabilità e che pone molti interrogativi. In fondo anche il materiale girato da un regista di documentari diventa repertorio in sede di montaggio: quel materiale parla al regista in modo diverso e gli dice qualcosa d’altro rispetto all’intenzione iniziale. Nei confronti dell’archivio storico c’è però in più un timore nel modificare l’immagine in quanto documento il più possibile oggettivo. Ma già a monte della singola ripresa cinematografica risiede una scelta soggettiva dell’autore sull’inquadratura, che cosa far vedere e cosa no. 

 

Un passato già così denso e tragico come quello della Prima Guerra Mondiale può ancora arricchirsi di nuovo valore?
Dare visibilità agli archivi è sicuramente qualcosa di positivo e affascinante, anche se non si può rimanere ossessionati dalla memoria. Vedere coi propri occhi le condizioni dei soldati in questi filmati ha una forza diversa rispetto alle nozioni che abbiamo studiato. Oltre al valore di documento storico, le immagini del passato riportano a una qualità alta lo sguardo: sono infatti molto più belle di quelle del presente dal punto di vista fotografico, come scelta di inquadrature e ottiche. Pescando dal repertorio si trova sempre uno stile che educa l’occhio. Le immagini che ci circondano sono molto brutte e sicuramente, almeno questo, possiamo impararlo dal passato.

 

9X10 Novanta - Confini di Alina Marazzi, ven 28 novembre, ore 21.30, Cinema Arcobaleno, Sala 300

 

Foto di Fabio Lovino

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