LO SCHERMO COME UN RING

LO SCHERMO COME UN RING
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Parliamo di boxe, recitazione e vita con Salvatore Ruocco. Attore, ex pugile, capace di passare dalla dura periferia di Napoli al grande cinema

 

Il pugilato dilettantantistico (era un roccioso peso medio), poi i ring clandestini, il riscatto dalla periferia di Miano - quartiere più duro di Scampia - fino alla recitazione, il teatro, i film con autori del calibro di Abel Ferrara (suo grande amico) e Leonardo Di Costanzo. La vita di Salvatore Ruocco – “Sal” per amici e fan - sembra quasi scritta da uno sceneggiatore di cinema sportivo (la versione italiana di Rocky? The Wrestler?).

Mentre parliamo al telefono con il bravo attore partenopeo, ci spiazzano prima di tutto la semplicità, l’immediatezza, l’umiltà. Si percepisce subito che “Sal” è ancora, soprattutto, “uomo di sport”, prima che “divo”. Eppure, in realtà, è oggi uno degli attori italiani più richiesti dal cinema. La sua storia è nota, dalla squalifica (per avere aggredito un arbitro secondo lui ingiusto) ai combattimenti clandestini ai margini di “Gomorra”, fino al riscatto con la carriera teatrale e cinematografica. Con lui parliamo di molte cose, dell’importanza dello sport nella vita di tutti i giorni, nelle situazioni di disagio e nel lavoro, dunque alcuni dei temi più potenti e ricorrenti nei film e nelle manifestazioni del festival FICTS.

 

Dopo il pugilato e prima del cinema, c'è stato il teatro. Dal punto di vista emotivo quali analogie trovi fra il ring e un palco?

Sono molto simili, anche se nel boxare hai un pubblico attorno e in teatro ce l’hai davanti. Certo, sul ring devi essere un guerriero, mentre il teatro richiede un talento diverso. Nella boxe l'emozione vera arriva alla fine dell'incontro, invece sul palco è un'emozione continua. Ma i due mondi li sento legati, infatti per me anche il teatro è un ring in cui lottare per ottenere una vittoria. Devo rimanere sempre attento, concentrato, preciso nelle uscite. In teatro è tutto in diretta e le prove per uno spettacolo sono come un allenamento sportivo. 

 

Ti alleni ancora? 

Il mio mondo adesso è quello della recitazione. Ma non ho mai smesso di allenarmi. Vado in palestra durante la settimana, poi gioco anche a tennis non benissimo però.

 

Vorresti lavorare anche negli Stati Uniti?   

Non ancora, prima voglio migliorare il mio inglese. Intanto girerò lì un film con il bravo giornalista e scrittore Filippo Brunamonti. Ora sta facendo i sopralluoghi e cominceremo le riprese a fine gennaio.

 

Parlando di registi, quale pensi sia stato l'incontro più importante nel tuo percorso fino a questo momento?

In soli sei anni ho lavorato con i migliori nomi del cinema italiano e tutti sono stati importanti. Per dire, il lavoro con Leonardo Di Costanzo è stata una scuola. Ogni progetto a cui ho preso parte mi ha insegnato qualcosa. Poi è venuto Abel (Ferrara ndr), che è un amico ma mi ha scelto perché lo meritavo. Mi ripete continuamente che sono "il suo attore" e dopo Napoli, Napoli, Napoli abbiamo cominciato un progetto in cui interpreto suo nonno, che ancora giovane ha lasciato Sarno per andare in America. Spero che riusciremo a finirlo presto. Mi fa piacere che mi abbia voluto anche in Pasolini.

 

E sul recente ruolo in Take Five di Guido Lombardi?

Ecco lì torno a fare il pugile, ma solo all'inizio, perché è un aspetto quasi metaforico del mio personaggio. Poi il ruolo prende altre pieghe, va in un'altra direzione, non è veramente un duro. E' stato difficile trovare il giusto modo per interpretarlo, con quella sua ingenuità di fondo. Anche fisicamente... ho perso sette chili e ho tagliato i capelli. Nei film amo molto fare questo lavoro di metamorfosi.

 

A che cosa stai lavorando in questo periodo?

Sono impegnato in televisione. Lo so che in Italia le fiction non sono ben viste, ma ho accettato la proposta di Il commissario Rex, perché a dirigere ci sono i Manetti Bros.! Ho pensato che con loro ne valesse la pena. Il mio agente riceve molte proposte, ma io preferisco scegliere progetti che oltre alla visibilità mi possano lasciare qualcosa. Una cosa strana, ma bella, è che piaccio più ai “grossi” registi che a quelli meno noti. Questo significa che posso poi dare il meglio di me, in ambienti che mi pongono di fronte a una sfida, un po’ come accadeva sul ring. Per me i set sono soddisfazioni continue. Penso di tornare presto a teatro, stavolta con un testo di Shakespeare. Ci tengo molto e tempo permettendo mi dedicherò a questo progetto. Infine, continuo a scrivere Il sapore del sangue, un libro in cui parlo dei miei anni nella boxe.

 

Nei prossimi giorni il festival FICTS proporrà alcuni film sul pugilato (Alle corde e Usyk). Ti interessi della boxe in televisione? Dei giochi olimpici? O magari preferisci seguire altri sport?

Da quando ho avuto la squalifica ho deciso di non seguire più nulla, perché fa un po' male vedere gli altri che possono combattere. Io volevo essere un campione. La boxe era ragione di vita per me. Sulla spalla ho tatuato un ritratto di Cassius Clay, che per me rimane ancora un modello. Oltre al suo volto le parole che ho inciso sulla pelle sono quelle della sua frase storica: «vola come una farfalla, pungi come un ape». Altri sport non ne guardo solo per mancanza di tempo. 

 

Che cosa ne pensi del film Ali di Michael Mann? Ci sono opere di ambito sportivo che rivedi volentieri?

Ali è bellissimo, ma vedo molto più spesso The Wrestler di Darren Aronofsky con Mickey Rourke. Credo sia pazzesco. Non so, forse c'è qualcosa che mi appartiene in quel film.

 

 

Sulla boxe al festival FICTS nei prossimi giorni vengono proiettati:

Alle corde di Andrea Simonetti, dom 7 dicembre, ore 19.30, Sala Parlamentino

Usyk di Sergii Dolbilov, lun 8 dicembre, ore 15.25, Sala Parlamentino

 

Ricordiamo, inoltre, che domenica viene presentato 

L'oro di Scampia di Marco Pontecorvo sulla disciplina del Judo, nella categoria Movies, ore 17.00, Sala Terrazzo

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