IL PESO DELLA VERITÀ

IL PESO DELLA VERITÀ
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Flocking, storia dello stupro di una quattordicenne e della sua ribellione contro la comunità che non le crede, arriva al MFF. La regista svedese Beata Gårdeler ci parla dei motivi che l’hanno portata a scegliere questa vicenda come rappresentazione di una realtà frequente nella Svezia contemporanea

 

Beata Gårdeler è una regista svedese solita indagare la psiche e le paure umane. Con Flocking ha vinto l'Orso di Cristallo per il Miglior film a Berlino. Porta al MFF un film forte e spiazzante. Flocking verrà proiettato oggi, alle 15:30, al MIMAT.

 

Perché hai scelto di parlare di stupro senza adottare un preciso punto di vista?

Volevo mantenere il pubblico con il dubbio su quale fosse la realtà. Ho cercato di essere quasi neutrale, per lasciare che fosse lo spettatore a pensare e scegliere. Volevo trattare il tema degli stupri, perché negli ultimi anni, in Svezia, è una tendenza in crescita. Il vero tema del film, però, è la paura individuale che muove o blocca le persone. 

 

La protagonista è un personaggio solitario e introverso ma estremamente coraggioso. 

Il personaggio principale doveva essere davvero forte per denunciare l’accaduto alla polizia in controtendenza rispetto alle statistiche svedesi. Mi interessava ritrarre una protagonista molto coraggiosa che, nonostante tutte le difficoltà, non si arrende mai. Anche per questo motivo ho deciso di lasciare un finale aperto, senza chiarire cosa le accadrà ma sottolineando la sua personalità attraverso la colonna sonora, senza rimarcare un gesto particolare o teatrale, come una partenza o una scelta tragica. 

 

Come hai scelto gli attori, gli adolescenti con cui lavorare?

La fase di selezione è stata molto lunga e l’ho seguita personalmente. Tutti i ragazzi del film non hanno mai recitato, anche perché hanno mediamente quindici anni. Fatime Azemi, la ragazza che ho scelto per il personaggio di Jennifer, mi ha colpito perché sembrava già portare un fardello dentro di sé, come se avesse perfettamente capito cosa si provasse in una situazione del genere. Probabilmente avrà mutuato il disagio e il dolore di uno stupro da esperienze vicine a lei. Questo l’ha aiutata molto a dare il giusto realismo al personaggio.

 

Due scene molto forti del film sono l’estenuante interrogatorio a Jennifer quando denuncia lo stupro e i vandalismi che la comunità, mascherata da animali, attua nei confronti della famiglia della ragazza. Sembra quasi ci sia una sorta di contrapposizione male-bene tra adulti e ragazzi.

Non credo nel male e nel bene, perché gli esseri umani sono molto più complicati. Mi interessava mostrare il meccanismo della paura, nel momento in cui sei considerato un emarginato della comunità. È lo spettatore che, quando vede il film, decide da che parte stare. Non volevo limitarmi a condannare lo stupro, sarebbe stato troppo facile e ovvio. La scena degli uomini travestiti con quelle maschere spaventose aveva lo scopo di rendere tutti uguali gli uomini, come gli animali, in un momento in cui fare parte del gruppo è più importante che pensare con lucidità. È il terrore delle maschere che avevo da bambina.

 

A cosa stai lavorando al momento?

Mi piacerebbe continuare a esplorare la mente umana e le dinamiche psicologiche che si innescano nei momenti di solitudine. Attualmente sto lavorando ad un film ambientato in Vietnam, con un protagonista svedese che è stato adottato nella penisola vietnamita, ma vuole tornare nella sua terra d’origine. Questa volta ho scelto un genere diverso per parlare degli stessi temi: è un gangster movie!

 

Flocking di Beata Gårdeler, Concorso Lungometraggi, ven 18, ore 15:30, MIMAT

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