Appunti sul campo e controcampo e storie di vita e spazi collettivi: conversazione via skype con Anna De Manincor, tra i fondatori del collettivo ZimmerFrei, di cui Invideo presenta Hometown/Mutonia, un viaggio nella comune dei Mutoid Waste Company, il gruppo di scultori e performer cyberpunk che vivono a Santarcangelo di Romagna. Mentre al Pac c'è La beaute c'est ta tête, Marsiglia negli incontri in un bar
Si chiamano ZimmerFrei, sono un collettivo di artisti, Anna De Manincor, Anna Rispoli, Massimo Carozzi e lavorano insieme ormai da 14 anni, da quando hanno deciso di unire le forze in un progetto di ricerca comune che li ha portati lontano dall'Italia. Anna Rispoli, ad esempio, vive in Belgio, dove per le loro immagini di confine ci sono anche quegli interlocutori istituzionali necessari che da noi sono quasi completamente assenti. Oggi ZimmerFrei è una realtà artistica affermata nel panorama internazionale. Con Anna De Manincor parliamo via skype, anche Milano è un orizzonte globale. Lei è alla Naba, dove ha appena terminato la lezione, alle sue spalle si intravedono gli schemi con le spiegazioni sul campo e controcampo.
Come è nato il collettivo ZimmerFrei?
Abbiamo studiato al DAMS e dopo siamo rimasti a vivere a Bologna, dove nel 2000 abbiamo fondato il gruppo. Ognuno di noi ha una formazione diversa: teatro per Anna Rispoli, musica per Massimo Carozzi e cinema per me. Frequentavamo gli stessi ambienti come il TPO, il teatro occupato del capoluogo emiliano, condividendo gli stessi gusti musicali.
Dopo aver realizzato un cortometraggio e un primo spettacolo abbiamo deciso di adottare un nome per il nostro progetto. ZimmerFrei ci apparse casualmente e funzionava, dato che è un'espressione diffusa. L'idea ci è venuta guardando l'insegna che campeggia negli alberghi delle località italiane, dal Trentino, alla Versilia passando per la costa romagnola. Eravamo già famosi senza aver fatto niente.
Perché avete deciso di seguire il gruppo Mutoid?
Conoscevamo questo gruppo dagli anni 90 come travellers e per il loro lavoro di scultori cyberpunk. Sono arrivati in parata al festival di teatro di Santarcangelo a mostrare le loro sculture meccaniche: dovevano rimanere per un paio di giorni, si sono insediati per vent’anni. Ne eravamo affascinati, e al tempo stesso provavamo inquietudine, per i loro rave party, le loro street parades. I loro esperimenti anarco-utopici miravano a costruire comunità alternative. Erano pionieri di nuove società, resurrezioni post industriali e post apocalittiche. Abbiamo scelto di mostrare Mutonia come parte di Santarcangelo e viceversa, un ritratto di una città che è un villaggio in un villaggio. Una visione specifica di un luogo in cui il lavoro non è più prevaricante, e non si assiste nemmeno all’autosfruttamento del proprio tempo libero, ma dove la disoccupazione è una scelta, un modo di vivere futurista ed arcaico.
In questi giorni siete presenti al Pac con La beauté c’est ta tête girato a Marsiglia, ce ne può parlare?
Fa parte di temporary cities, un progetto artistico che indaga fenomeni circoscritti di luoghi di forte cambiamento. Marsiglia, che è stata capitale della cultura 2013, ha spinto su questa energia vitale e si è organizzata per rilanciare la propria immagine. L’investimento sulle infrastrutture rientra in quel fenomeno delle “smart cities”, come abbiamo già documentato a Budapest. Un rinnovamento di ingegneria sociale e di urbanistica che ha portato le varie capitali europee ad assomigliarsi l’un l’altra. Un rinnovamento che allontana i più deboli, li esclude geograficamente. Con il nostro storico direttore della fotografia Roberto Beani abbiamo deciso di cambiare sguardo sulla città. Ci siamo concentrati sulla realtà delle persone che in quel momento ci stavano osservando, e, insieme a loro abbiamo scoperto la città sotto una nuova luce. Non ci siamo allontanati per più di mezzo chilometro dal bar dove avevamo iniziato il nuovo percorso. Abbiamo testimoniato la vita di quartiere che si intreccia in un tessuto sociale, una comunità di base che sostiene chi non riesce a farcela, i più deboli. Questi “porti” si possono trovare in ogni città, ognuno ha il suo in cui può agire come artefice del proprio destino, soggetto delle proprie azioni, per sentirsi parte di qualcosa senza diventarne dipendenti.
Come valuti il processo di rinnovamento urbanistico in atto oggi?
Non si può dire che sia del tutto sbagliato, né che sia scomodo vivere in questo tipo di società. I servizi offerti, il non sentirsi spaesati all’estero, tutto questo ha un prezzo e a pagarlo è il mondo perduto delle località più piccole, calpestate e sintetizzate dalla generalità.
Lavorando in diversi paesi, ha notato differenze nell’accoglienza dei vostri lavori?
Non a livello di pubblico: sia in Danimarca, Francia, Ungheria, Italia o Belgio, il documentario si è ritagliato una nicchia di spettatori sofisticati che credono nella riflessione del linguaggio cinematografico e nel legame stretto fra documentario e sperimentazione.
Il discorso cambia ovviamente quando si parla di investimento, che è ciò che manca in Italia. Non c’è mercato. Ma è una malattia dalla quale si può guarire.
Hometown/Mutonia di ZimmerFrei, Italia 2013, 69', merc. 29 ottobre, ore 22.00, Spazio Oberdan
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